1 giugno 2012
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CENA D’A/DIO (padrigale caudato)
L’impronta era netta: sbalzati col metodo Panini
sembravano me e i miei compagni, alla loro età:
la consapevolezza d’aver avuto le più fini
spiegazioni, d’aver seguito l’unica strada
matematicamente possibile.
Acuti, pronti, partecipi, anche nel men che serio
ballo barcellonese, sul libro di là da venire
incalzanti il nuovo venuto (me!) col desiderio
di mostrare il loro valore. Un magma fumigante
di personalità... Non saprei da chi cominciare…
Davide che teneva il gesso
e scriveva quasi come Lui, il cui quaderno
dal rigore formale ineguagliato
era lo specchio d’un analogo rigore morale, eterno
Cristobal Colon d’una farsa che proseguiva a scuola
Marta Lazzarona che rifletteva con lucidità eccessiva
sul senso di darle un cinque… boh, cose sue…
Isabella di Spagna dai mille sorrisi…
davvero ho avuto la tentazione di dargliene due,
uno in matematica l’altro in fisica;
Angela troppo acuta per mettersi in mostra
cui le cose sembravano facili
seduta sul dondolo di casa,
col maglioncino a collo alto e la chiostra
d’un sorriso pronta a fuggire in bicicletta;
Marco del gran Giuseppe la cui voce cava
stentavo per difetto mio a capire,
ordinato e preciso, che limava con cura
il castello dei teoremi, e dettava
i tempi delle lezioni e degli esercizi da finire
non diversamente da Andrea che un Fato
obbligava a mettere per iscritto la sonica
che l’intuizione galoppante gli aveva mostrato
da subito e che, a parte quella del Bo(gard),
era capace di battute memorabili.
Wissam, così sveglio che a ben tenere
non si capiva se seguiva il suo estro
seriamente o ti prendeva per il sedere,
che se in terza prova aveva copiato
l’aveva fatto con la maestrìa d’un maestro
Nicola che sembrava seguire tranquillo
il filo dei suoi pensieri, dietro interessi a josa
che lasciavano cadere stracci e trucioli
di pipe fresate e ancora da lucidare
per poi precipitarsi a baciare la morosa
Vanessa che aveva quasi paura di disturbare
la lezione, tranquilla aspettando che fosse
il plenipotenziario accanto a fare
le domande, a chiedere di ripetere le sue mosse
ché lei pareva figura d’una corte rinascimentale.
Mattia, che alternava distrazioni pacchiane
a colpi di genio, intento come quel Tale
ad analizzare il cielo rischiando bel bello
d’inciampare nelle buche mentre il cervello
teneva in ordine i dischi del juke-box mentale,
Marta M., così a pigione
nel dover rendere conto di ciò che sapeva…
“ah, poterci fidare di lei, che di certo la lezione
la sapeva” e lo sapevamo, senza farglielo dire,
questo sembrava voler dire, e diceva…
Greta che veniva alla lavagna
come un agnello sacrificale
ma era dolce e tranquilla, un’agna,
minuta per colpa del cognome
e s’arrabbiava della confusione generale;
Sara P. che sembrava caduta
nel girone della tortura ogni volta
che ci si azzardava a interrogarla
ma che a farla cantare le si restituiva la ciarla
d’un sorriso e l’allegria appena tolta;
Marta Dita Rosse, d’un fascino tutto suo,
distratto, cui ho sperato tutto un anno
di dare la bella sufficienza
e vi riuscii alla fine dell’anno
per via di trapezi nell’equivalenza;
Luca, che sembrava più vecchio dei compagni,
cui la tentazione sempre sospesa
di darmi dell’àreo o del tu
ebbe e tenne a freno, tranquillo nei lagni
corifei, signore d’una signoria che fu
Sara C., che alternava festa
e delusione, e aveva deciso che fisica
non le entrava in testa,
di cui apprezzavo quando m’era
valletta e scriveva l’ora intera;
Sara G., infastidita dalle osservazioni
e dai pensieri che non cadevano al volo
per i quali si faceva un poco scura
ma che lavorava con coscienza sicura
quando ci batteva a pallavolo
Simone che tra gli assi s’era ritagliato
il ruolo di campione sportivo
e sopravviveva ridendo sui palloni
alti, con la forza e l’ironia d’un divo
alla marcia dei secchioni,
Umberto, asso di rugby, che cercava la strada
che gli desse da distinguersi,
orgoglioso del proprio inglese professionista,
quasi meglio dell’italiano e d’altre lingue,
il sorriso patinato e i muscoli da rivista;
Francesco che lavorava sodo e pareva
interessato a capire tutto, a mettersi a cimento
e quasi si vergognava a mettersi in mostra
e mi insegnò donde giunge il 95%
del carisma dei vescovi in giostra…
Daniele, il bravo ragazzo della porta accanto,
affidabile d’un’affidabilità di cotto
verso il quale forse mi sento in colpa
che forse il portamonete in aereo
cadde mentre gli passavo il giubbotto…
Oh, che bella classe siete stata.
Non ho saputo di rivalità, litigi e gelosia
eppur ci saran state ma nella foto c’ho scattato
le avete seppellite sotto un velo d’intelligenza
e due carriolate di simpatia.
M’avete preso in giro e avete fatto bene
ché ridere fa di tutto scorrere nelle vene
il sangue. Che la vita vi mantenga con dentro
l’entusiasmo che v’ho trovato…
magari Pilla un po’ più verso il centro.
Lo so, ho scritto in fretta, seguendo l’andazzo
ma cercate di capire, di non rompere . . . . . . .
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