19 dicembre 2011

480 - inserita anche nelle parodie

L’Angelino storno

Nella villa il silenzio era già alto.
Si rifacevano le troie di smalto.

Le puttane romane ai loro posti
ricalcolavano guadagni e costi.

Là in fondo era la troia da spiaggia,
più buona per una festa selvaggia,

con in vita due piume di struzzo
mostrava al capo il capezzolo aguzzo.

Con la mano sul culo da essa
era la Minetti che le dicéa sommessa:

«O ragazzina ragazzina... torna
non temer ti accada quel che alla Corna

tu l’hai gia visto spogliato il nanetto
non temere, non ha che un cazzetto,

ma ama circondarsi di giovani figlie
con loro si spoglia, usa le briglie;

pòrtati ai fianchi un asciugamano,
vuole tu glielo prenda un poco in mano,

che tu gli dica qualcosa, anche nulla,
con la voce di soave fanciulla»

La Rubina volgea la tonda testa
verso il maiale che le fea festa.

Fede, e con lui Rossella e Mora
guardavano il culo ad un’altr’ancora:

lo so, lo so che voi l’amate forte
lui v’ha coi soldi cambiato la sorte

e perciò didietro gli poggiate il mento
con l’occhio vivo e il cervello attento;

sentendo lasso nella bocca il morso
ripetete per primi il suo discorso, 

lo accompagnate da sempre in questa via
perché strapaghi la vostra bugìa...

Un’altra troia bruna era d’accanto
al viso disfatto del nano intanto.

«O Minetti, Minetti stronza
che già fosti la sua porno-gonza

e tra i gran lombardi ti fece uscire
per ripagare le tue dolci spire,

tu con le mani sul culo del pampe
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe

con negli orecchi i suoi discorsi sciocchi
ti prendi in cambio un sacco di baiocchi,

per trastullarlo tra ’l morir del sole, 
registrando le ignobili parole.

Allibisce la calva testa fiera
del delfino creato in una sera.

«O Angelino, Angelino Alfano
che dici bojate di terza mano, 

tu gonzo che non rinsavisce mai
tu fosti il tonto... E parlar non sai!

Tu non sai poverino, altri non osa
Oh, ma tu la devi capire una cosa:

tu l’hai compreso perché mai t’assise
il capo che lì ti volle e non rise...

Chi fu? Chi è? è il più grande coglione
che tu consideri tüo padrone!»

Le tante troie gli davano bada
temendo più il ritorno sulla strada,

allibivano l’altre teste vuote
aspettando il rumore delle ruote...

Angelin col sorriso inebetito
disse un nome, sonò alto un nitrito.









Nella Torre il silenzio era già alto. 
Sussurravano i pioppi del Rio Salto. 

I cavalli normanni alle lor poste 
frangean la biada con rumor di croste.

Là in fondo la cavalla era, selvaggia, 
nata tra i pini su la salsa spiaggia; 

che nelle froge avea del mar gli spruzzi 
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.

Con su la greppia un gomito, da essa 
era mia madre; e le dicea sommessa: 

«O cavallina, cavallina storna, 
che portavi colui che non ritorna; 

tu capivi il suo cenno ed il suo detto! 
Egli ha lasciato un figlio giovinetto; 

il primo d’otto tra miei figli e figlie; 
e la sua mano non toccò mai briglie.

Tu che ti senti ai fianchi l’uragano, 
tu dài retta alla sua piccola mano. 

Tu ch’hai nel cuore la marina brulla, 
tu dài retta alla sua voce fanciulla».

La cavalla volgea la scarna testa 
verso mia madre, che dicea più mesta: 

«O cavallina, cavallina storna, 
che portavi colui che non ritorna; 

lo so, lo so, che tu l’amavi forte! 
Con lui c’eri tu sola e la sua morte. 

O nata in selve tra l’ondate e il vento, 
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;

sentendo lasso nella bocca il morso, 
nel cuor veloce tu premesti il corso: 

adagio seguitasti la tua via, 
perché facesse in pace l’agonia...» 

La scarna lunga testa era daccanto 
al dolce viso di mia madre in pianto. 

«O cavallina, cavallina storna, 
che portavi colui che non ritorna; 

oh! due parole egli dové pur dire! 
E tu capisci, ma non sai ridire. 

Tu con le briglie sciolte tra le zampe, 
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe, 

con negli orecchi l’eco degli scoppi, 
seguitasti la via tra gli alti pioppi: 

lo riportavi tra il morir del sole, 
perché udissimo noi le sue parole». 

Stava attenta la lunga testa fiera. 
Mia madre l’abbracciò su la criniera 

«O cavallina, cavallina storna, 
portavi a casa sua chi non ritorna! 

A me, chi non ritornerà più mai! 
Tu fosti buona... Ma parlar non sai! 

Tu non sai, poverina; altri non osa. 
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa! 

Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise: 
esso t’è qui nelle pupille fise. 

Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome. 
E tu fa cenno. Dio t’insegni, come». 

Ora, i cavalli non frangean la biada: 
dormian sognando il bianco della strada. 

La paglia non battean con l’unghie vuote: 
dormian sognando il rullo delle ruote. 

Mia madre alzò nel gran silenzio un dito: 
disse un nome... Sonò alto un nitrito.