Giugno '98

			
Andiamo, è ancora tempo di cercare.
Che ci tocca di fare altrimenti?
La più grande stima di noi non dura
se lasciata decantare ogni cosa
e tutti quanti camminarci sopra
solamente tra le mani d’un libro
ci rimane quest’eterna battuta
da reazionari del secolo scorso.

Sognar era costringerci alla recita,
al ridicolo delle spiegazioni:
quassù il nostro corpo muove foglie,
sorride; giù in fondo l’anima cerca 
fumi di loto o pensieri più densi;
ma chi valuta il grado della nostra 
responsabilità? La bianca sorte 
ancor è figlia della malattia?


            o - o - o - o


Quale sofferenza rinnova antica
la bellezza dei visini perfetti
attaccati a corpi di diciottenni
belle finché piangono inaccoppiate
finché gli occhi lor si muovono attorno...
Come si distrugge la fascinosa 
solitudine che tal non rimase
e scelse un’ombra compagna di strada...

Per me il fugace ottenuto dominio
sul bello fu la condanna finale
ad ogni vana ulteriore ricerca:
falena dell’amore ho bruciato
l’ali sul corpo d’una Cucinotta:
in testa non ho più sete né voglia
né voce né fede a gridarle: “Torna!”
né imparai a sussurrare: “Resta...”