LVII. Corvialmente (1998)

 
 
 
 
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Da tanto tempo non ti parlo più
e tu mi chiedi come ad un buffone
di farti ridere e di raccontarMi,
senza nemmeno pensare ‘Ahimè,
povero Yorick’: di favoleggiarti,
degli argomenti che mi fanno vivere.
Ma io non posso divertirti adesso
perché ho disimparato ad esser triste:
sono la Principessa Senza Cuore,
seduta sulla soglia del dolore.


5. Yorick, il buffone di Amleto non poteva più far ridere… perché era morto!
8. Non soffrire più è essere morti. E chi è morto non può più far ridere.
10. Ormai uscita dalla casa del dolore… o mai entrata?

 
 
 
 
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20
In uno studio di sei metri quadri
riascolto la litania dei miei cenni,
m’invento battiti di ciglia, sorrisi,
annuimenti ammiccanti sui ghiacci
di questa calotta - ché la parola
‘polo’ è diventata così scortese... -
in-gra-gra-cidita da personaggi
di fiaba, ormai esaurito Prossimo,
ile che nessuno ha cuor di baciare
inesistenti, ilari, ile appunto.
Lo studio della mia casetta nuova misura effettivamente 3m x 2m. Qui da sempre rileggo le cose che ho scritto nel corso della mia vita. E m’immagino una vita diversa, più pubblica, da quella che conduco.
15. Al freddo sentimentale si aggiunge il fastidio per una parola che ormai ha saturato la scena politica: “Polo”, parola che aumenta la sensazione di freddo e di disagio.
17. La scena umana e politica si è popolata di raganelle che continuamente gracidano, difficili da riconoscere come il prossimo della parabola evangelica, ovvero come interlocutori attendibili; sono semmai piuttosto personaggi ripugnanti di una fiaba nota: forse sono principesse, ma appaiono ripugnanti rane. E ridono sicure: in… il… il… (verso 20)
 
 
 
 
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30
Con un misto di colore e speranza
prego l’esistenza dei sentimenti
altrui; la profondità dei bimbi,
forgiata dai programmi americani
è il passaporto dell’Europa priva
di barriere e dogane. Ma che bolla
d’accompagnamento mi servirà
in questa nuova Schengen-timentale,
per portare me stesso appena fuori
e poter ridere del mio pensiero?
21. Il colore (artificiale) ha preso il posto del dolore. In questa sensazione gelida e opprimente di vivere in una fiaba, dove la vita non è tale (inesistenti sono le ile) la domanda di senso è incalzante: se io non ho sentimenti, mi piacerebbe che gli altri li possedessero, almeno le generazioni future. I bambini di ora, ossia gli adulti di domani, forse sono attrezzati perché, cresciuti a programmi americani, imparano ad esprimere compiutamente i loro sentimenti.
26.Ma io, che già fatico a muovermi nel territorio dei sentimenti, come potrò orientarmi senza barriere o confini? (Il trattato di Schengen prevede la liberalizzazione della circolazione di merci e cittadini).
 
 
 
 
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40
Pagherò come un nonno di Maastricht,
il balzello dell’unione politica
di chiacchiere nuove che tanto temo?
Non abita già Balzac più vicino
del mio dirimpettaio? Forse a un vecchio
convinto controrivoluzionario
della Vandea potrò veramente
chiedere qualcosa, e sarà più facile
pagarlo in Euro, come fa l'Irene
Presidente nel quinto anniversario.
31.Ormai vecchio, quando gli attuali bambini saranno degli adulti, e incapace di sopportare le inutile e ripetitive chiacchiere sui sentimenti, sarà per me tale ‘unione’ causa di fastidi
35. Ma è inutile preoccuparsi, ora. Tutto è già stato e le persone lontane non sono poi così lontane… Letteralmente e metaforicamente: magari farò le stesse cose che ora fanno i personaggi della politica che nei versi sopra ho dichiarato di non ammirare. Tra di loro annovero la leghista Pivetti, che ha fatto il suo viaggio di nozze in Vandea e che ivi sicuramente tornerà per festeggiare qualche anniversario a venire.
 
 
 
 
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50
Sono una principessina dolente
per espressione acquisita da tempo,
ma senza motivo dolente, afflitta
da cronica incapacità di ridere
Scopertamente. Osservo i buffoni
che nessun maestro ha chiamato a corte,
qui seduta in disparte al mio sgabello,
da sempre in procinto di anticiparli
per assumer su di me l’incipiente
loro peccato di dire bojate

 
 

44. Forse non sono mai sbocciata, come una principessa vissuta sempre a corte che non ha mai temprato, perché non le ha mai veramente messe alla prova, le sue capacità.
Eppure ho sviluppato un’indubbia sensibilità e so prevedere le ‘scortesie’ prevedibile dei personaggi che frequentano la corte.

 
 
 
 
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Potessi patire l’esatto male
di una qualche sofferenza morale,
l’aspro dolore d’una solitudine
sotto la macina dell’inutilità,
la schiavitù d'antichi rituali:
invece sento ch'ho imparato a rendere
tutto quanto piacevole, stillando
latte nel tè della conversazione
come una vecchia nobildonna inglese
di una società mai in disfacimento.
 
 
 
 
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70
Oggi in casa mia non ho fatto entrare
per l’usual dialogo da caffè
la coppia di testimoni di Geova
che sovente mi viene a convertire;
e mi sono sentito in imbarazzo
come una segretaria-grande-schermo
di venditori di polizze false,
perché stavo uscendo di lì a poco
e la mia verità coincideva
con l’abusato ‘spiacente’ di tutti.
61. A smentire quanto appena detto, a rivelare cioè una sensazione comunque d’inadeguatezza, ecco l’episodio della coppia di Testimoni di Geova che veniva a trovarmi con una certa regolarità, ai quali offrivo un caffè mentre cercavano di convertirmi.

66. Le segretarie usualmente sono il paravento, lo schermo dei principali che non vogliono farsi trovare.

69. La verità è incredibile quando è simile alla più diffusa risposta falsa.

 
 
 
 
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80
Almeno piangere d’un mal d’amore
che non so più riconoscermi dentro;
ma chi potrebbe raccontarlo öggi ?
Stanno spegnendo i miei ex amici
le candele di tutti i compleanni,
festeggiando matrimoni lontano
con le mie decomposte citazioni,
ciarpame d’una cultura d’edicola,
travisandole con la più venale
mancanza di storia e di comprensione.
 
 
 
 
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90
Freschi camionisti storcono il naso
ad una interpretazione di Kant,
ma non alle sue Critiche, e i camerieri
di un mal affollato bar di campagna
disquisiscono per dieci minuti
dei palpiti dei loro sentimenti
con estrema e soave precisione
e poiché un tempo anch’io ho pensato
le stesse frasi, un poco mi trastullo
d’averlo fatto con sì largo anticipo.
81. La quantità di cultura non è aumentata, ma si è parcellizzata, diffusa. Non è raro sentir citare Kant a sproposito.

83-87. i camerieri... Qualche sera prima in un bar il cameriere che ci conosceva solo come amici della sua donna, ci aveva spiegato per bene il suo innamoramento.

 
 
 
 
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100
Da dove mi arriva tanta superbia?
L’ansia per Verità che ci danna
alla precarietà terrena dovrebbe
definitivamente ricordarci
che stiamo in questa vita di passaggio.
Ma con che armi abbiamo a coltivare
pedissequamente i progetti a lungo
termine che sono il sogno di tanti?
Come una-bella-casa-per-la-sera,
o una-lieta-famiglia-che-ci-adora...

92. La ricerca del senso delle cose ci obbliga ad interrogarci troppe volte, e ci condanna all’inazione.
93. Il ‘mi’ è improvvisamente diventato ‘ci’: la mia superbia è in realtà il modo in cui in me si manifesta una sensazione in verità diffusa.

99-100. La famiglia che ci adora, la bella casa per la sera non sono più ideali di sogno, ma vuote forme lessicali. Come gli ideali politici che annusiamo di questi tempi.

Allusione al lungo dibattitio sul centro sinistra "con trattino" o "senza trattino".

 
 
 
 
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Il sol desiderarl' è una cambiale
che sappiamo di non poter firmare,
poiché solo un abito abbiamo in dote
d’onestà, come l’hanno i Testimoni
cui la gente non apre e dice loro
che se ne sta andando, e magari è vero.
La nostra responsabilità cresce
in quest’aria di morte che concima
e suade convenevole saggezza
sul terreno dell’intesa con tutti.
101. Per costruire una casa o una famiglia dovremmo impegnarci in uno sforzo - mentale prima ancora che fisico - così grande che ne risulteremmo sfiniti prima. Dovremmo venire a compromessi continuamente e non siamo educati a farlo.

 

107. Questa consapevolezza ‘superiore’ aumenta la nostra responsabilità.

 
 
 
 
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CoVunque allenati alla tolleranza
e alla sopportazione di tutto,
va aumentando la nostra irritazione,
di già frustrata dal dover contare
sugli altri fino a centomilaecento.
Ma forse è questo l’eroismo: i deboli
continueranno a credere in se stessi;
farsi da sé non sarà più buon gusto
ma una piega di vago autoerotismo;
sarà giusto mendicare un lavoro.

 

113. Un altro è in verità l’effetto di questa maggiore consapevolezza.

 
 
 
 
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Allora, Signore, da chi andremo?
Tu solo hai parole di vita eterna.
Invece tremiamo, perché non stiamo
seminando futuro, con gli occhi
sull’eterna polemica tra scuole
statali e a cristiano pagamento.
“Ecco, sono la serva del Signore”.
Avvenga anche di me che mi sia detto.
D’ora in poi tutte le generazioni
mi chiameranno risposta beata.

 

 

127-130. Maria chiede che le venga almeno riferito ciò che è stato deciso ‘in alto’.

 
 
 
 
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Non c’è tregua in quest’eterno conflitto
e in nessun’avara competizione
che sbandieri il vessillo del servizio:
perché appena vien retribuito
questo infine mantiene sol se stesso.
E poiché si propone tale e quale
anche il giornalismo è una gran menzogna
schiavo delle sue finte e folli angosce.
Soffriva l’ansia di notizie avare
Ilaria Alpi in terreno di guerra:
131. Le scuole private affermano di svolgere un servizio, di supplire ad una carenza dello stato. Ma è un servizio che mira solo a sopravvivere, a mantenere se stesso.
 
 
 
 
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150
quattro biondi anni fa trovò la morte
in cerca di verità coloniali
da meritare un sacrificio e mezzo:
Milan Rovatin. Chi? L’OPERATORE.
Filmava. I giornali scandalistici
Chiesero: “Con chi?” Al nome di lei
intitolano premi, strade e scuole,
a lui per caso il ricordo gemello:
Ilaria Alpi e l’operatore.
Di cui nessun ricorda l’operato.

142. coloniali: perché avvenne in Somalia, ex colonia italiana.
143. Non è un vero e proprio sacrificio quello di Milan Rovatin, visto che nessuno lo ricorda, al massimo un ‘mezzo’ sacrificio.

145. Filmava: appare qui come un verbo osceno. Non a caso si inseriscono i giornali scandalistici.

 
 
 
 
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L’hanno denigrato fin dall’inizio,
e continuano a denigrarlo tutti,
il ‘Serpentone’ alla periferia
di Roma che accoglie qualche migliaio
d’inquilini. Chilometri-edificio
di non so quanti piani e vane scale,
dove tristezza e passioni non sono
differenti dalle gioie che scuotono
l’anima di una casa di campagna,
tra l’erba e il traffico che sta arrivando.
151-154. ‘Serpentone’ è il soprannome del Corviale, l’edificio di case popolari lungo un chilometro e mezzo, opera mastodontica e infernale della Roma comunista degli anni ’60, mostro edilizio e sociale.

155. Chilometri-di-edificio: la ricerca di eufonia sembra attribuire un'anima e una funzione all'edificio.
156. Vani scala è diventato vane scale, perché tutto quello che accade in quegli alveari è apparentemente prive di senso.

 
 
 
 
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Ma proprio perché abitato da tanta
gente, perché assai più denso di Vita
distribuita tra mille fugaci
vite, il Corviale, fascio comunista
d’idee, velenoso, io lo amo:
sempre esaurito ed inesauribile
cuore che pulsa, si lamenta, soffre,
e amorosamente dà da pensare.
Anni fa vinse il premio ‘Ilaria Alpi’
chi registrò le voci del Corviale.
 

 

 

 

  Ancora un’associazione di idee, legata a filo doppio con quanto detto prima.

 
 
 
 
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Non filmò. Perché non era un servizio
con nessuna piena dimostrazione
che volesse ottenere, ma la vita
senza commento, senza ‘verità’;
lontano due mondi dall’inviata
in nome della quale fu premiato.
Che sollievo per il mio cuore sentire
lì una probabilità maggiore
che la Vita produca più frammenti
seppure im(p)ensamente dolenti.
171.  Non servono immagini e voci: queste ultime sono già ripetizione, sono già ‘prova’ ridondante.

174. L’assenza di immagini, che invece costituiscono la ‘verità’ della giornalista, ha l’effetto di restituire verità alle cose. Il premio Ilaria Alpi è andato a chi ha fatto il contrario di lei e anzi sembra voler dire: “basta prove, la vita è quel che è”.

 
 
 
 
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Allora che importa se non sono io
a vincere un totip, a guadagnare
una laurea, a soffrir per amore;
o se non sono io a lamentarmi
per gli schiamazzi dei tanti bambini
della famiglia che mi sta di fronte
il cui padre si vede sì di rado...
Volentieri io faccio l’operatore
purché un istante, o Dio, la tua divina,
immensa biblioteca si giustifichi...
188. Sono disposto a cantare la vita rimanendo anonimo purché… Allusione alla Biblioteca di Babele, di Borges
 
 
 
 
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200
Architettura comunista; uguale
a quella dove äbito; bollarono
del resto l’omonimo Aymonino
come ‘architetto rosso’. Non sbagliò,
a me qui piace: è un piccolo Corviale
di pazzie-frammenti che non conosco.
Ma ho vissuto anche sulla cascata,
in un appartamento dell’Empire
State Builduing, al Quirinale, a Versailles,
ovunque c’è stato un poco da ridere.
192. Anch’io abito in un palazzone a forma di U lungo decine e decine di metri.
 
 
 
 
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E’ disposto il mio vicino di casa
a pagar più di centomila lire
la nuova voltura del contratto
della luce comune delle scale
per levarsi la briga di raccogliere
ogni due mesi dagli altri condòmini
i soldi che gli spettano. A che pensa?
Con un dei quattro ha tanto litigato,
né io da tempo ho alcunché da dirgli
ma sol perché non so che cosa dirgli.
201. Dagli abitanti del Corviale la riflessione si sposta su quelli del ‘mio’ Corviale, i miei vicini di casa.
 
 
 
 
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220
Ogni anno la spesa del condominio
è pressappoco centomila lire!
Lui avrebbe mandato la disdetta,
se nessuno l’avesse rilevato:
non avrebbe funzionato il cancello
elettrico con cui tanto ha tediato
gli altri, (toh, finalmente sempre aperto!)
e nemmeno lo sbloccaggio a distanza
del cancelletto anteriore, che egli
vuole veder lo stesso sempre chiuso.
E’ davvero stupido quanto sta facendo il mio vicino.
 
 
 
 
225
 
 
 
 
230
Nessuno ancora avrebbe utilizzato
l’antenna televisiva comune,
lui se ne sarebbe comprata üna
mini sopra-mobile da cucina.
A me è ritornata in mente la storia
del marito furbo che per punire
la moglie infedele si tagliò il cazzo.
Accadde al Corviale. Venerdì prossimo
senza nessun rancore andremo all’ENEL
per intestare a me il contratto nuovo
224. L’antenna è piccola e mobile, e sta comodamente sulla credenza

In fondo è logico che nel ‘mio’ Corviale accadano cose simili.

230. Ma non perché sono buono...

 
 
 
 
235
 
 
 
 
240
che son la Principessa Senza Cuore
seduta da sempre al buio silente
d’una bianca riscrivania di posa
incapace di litigar di niente.
Per tanto tempo non ti parlerò
e come al tuo buffone mi chiederai
un giorno improvviso di farti ridere,
senza nemmeno pensare ‘Ahimè,
povero Yorick’, di raccontarMi,
degli argomenti che mi fanno vivere
231. Ritorna l’allusione della prima strofa: non faccio queste cose per magnanimità, ma semplicemente perché non mi costa: ho disimparato a soffrire, e quindi a star bene
233. La scrivania dove le frasi vengono continuamente corrette diventa ‘riscrivania’. Cordialmente avrei voluto rivolgermi all'interlocutrice, e tutto questo sfogo è servito forse ad inventarmi dei sentimenti, una partecipazione ai sentimenti, ma il tentativo è fallito, ne è emersa una congerie di incongruenze, di piccole meschinità; ed è forse opportuno che io ritorni nel mio silenzio.