T’amo, o pio bove; e mite un sentimento
di vigore e di pace al cor m’infondi,
o che solenne come un monumento
tu guardi i campi liberi e fecondi,

o che al giogo inchinandoti contento
l’agil opra de l’uom grave secondi:
ei t’esorta e ti punge, e tu co ’l lento
giro de’ pazienti occhi rispondi.

Da la larga narice umida e nera
fuma il tuo spirto, e come un inno lieto
il mugghio nel sereno aer si perde;

e del grave occhio glauco entro l’austera
dolcezza si rispecchia ampio e quieto
il divino del pian silenzio verde.

18 maggio 2007

CCLXXV - s. 184

Il bove

Beato chi ti vede, adesso, bove, che le stalle e l’odore di boazza sono sparite ovunque… Dimmi dove, che per I.c.i. e speculazione pazza rari sono i luoghi che quando piove torna al naso l’aroma della guazza o il profumo dell’erbette nove… Parallelo a cento tu ingrumi stazza con l’occhio spento e strumi l’erba secca della balla che l’industrial t’ha scompatto: lui di te, e anch’io, vede la bistecca alta tre centimetri e larga un piatto, mentre tra i ricordi final si sbrecca il più finto della natura in atto.
Al rio sottile, di tra vaghe brume,
guarda il bove, coi grandi occhi: nel piano
che fugge, a un mare sempre più lontano
migrano l’acque d’un ceruleo fiume;

ingigantisce agli occhi suoi, nel lume
pulverulento, il salice e l’ontano;
svaria su l’erbe un gregge a mano a mano,
e par la mandra dell’antico nume:

ampie ali aprono imagini grifagne
nell’aria; vanno tacite chimere,
simili a nubi, per il ciel profondo;

il sole immenso, dietro le montagne
cala, altissime: crescono già, nere,
l’ombre più grandi d’un grande mondo.