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Forza, Italia - ULTIMO ATTOSiamo giunti alla fine. O quasi. Fosse morto ieri, venerdì santo, la battuta era scontata: avremmo aspettato due giorni prima di pronunciare l’ultimo verdetto, per controllare che non risorgesse pure lui (era la vignetta che accompagnava la sua megalomania, famosa come quella di lui che si spara alla tempia pronunciando: “Sconfiggerò il cancro”) Che senso ha augurarsi la morte del nemico politico come facevano ieri sui social i progressisti da sbarco e i comunisti nel QI? La desiderammo, la morte di Silvio (rimembri ancora quel tempo?), detestandolo quand’era in forze, consapevoli da subito appena “discese” in campo (lui si spostava con gli elicotteri) della catena di jatture che la sua persona e le sue “visioni” avrebbero prodotto nel tessuto sociale italiano col suo carico di furbizie e corruzione: era già tutto scritto, lo sapevamo, e nulla giova l’aver detto per ventinove anni “Lo sapevamo”. Se non fosse stato lui sarebbe stato un altro. Chi lo sa. Fu lui, il maledetto. Nel pieno delle legislature d’inizio millennio fatte di leggi assurde a difesa di attività e interessi, di corruzioni e disonestà, promettevo a mio padre una grande festa in occasione del funerale di Berlusconi, che si tenesse pronto, che certamente l’avrei invitato, senza tener conto che, come Silvio (e Pippobaudo), era anche lui del 1936, ed era mio padre il meno attrezzato a sopravvivere all’accoppiata di coetanei. “Il leone tornerà”. “Sta meglio.” Ha telefonato a Meloni e Salvini, e non vede l’ora. Ma non può tornare, è inguaiato fino al collo malato di leucemia alla sua età non è previsto il trapianto di midollo. La letteratura medica dice che non arriverà a novanta, il Cavalier Bandana, il Cavalier Banana, il sempregiovane Silvio che a quelle cifra ne ha viste tante. Paniz, che salvò Unabomber, confessa piangendo col suo accento da poénta e tocio e la faccia di coccio che certi grandi uomini li si vorrebbe immortali. Anche no. È normale che si dolgano i tifosi del superMilan che vinse varie coppe dei campioni (non diventò forse berlusconiano solo perché milanista il Cocco sempre in prima fila nella sua gioventù operaia e comunista a prender botte dai celerini ai cortei sindacali, fatti di fuffa e rituali?); e gli altri duecentomila che l’acquisto di Balotelli trasformò in voti, in questa Italia dove grazie ai media gli elettori diventano tifosi e viceversa, ché l’elettore medio ha la preparazione di uno di seconda media. È normale che si dolgano della sua malattia i calciatori del Monza passati dalla C alla A grazie a lui che sempre ebbe mano sicura nel calcio. È normale che si dolgano della sua malattia i forzitalioti, gli insipienti leccaculo che dal nulla assursero a figure di politici, e, rimanendo entro i dieci chilometri, il vanesio assessore alla cultura che, insegnata matematica per trent’anni, ancora non sa che cos’è un predicato logico; o il chiacchierone afasico sordo a tutte le soluzioni di famiglia, che per anni ostentò la lettura del Pornale di cui invece si sarebbe dovuto vergognare (del resto c’è anche chi si ostina a vedere in Siffredi non un cazzone ma un maitre a penser). È normale che si dolga della sua malattia chi scambiò Forza Italia per la nuova DC e trovò casa, e chi, entrato in politica nella Lega Nord sputando sulla DC, governò grazie a lui, come il parlamentare delle nostre parti che con altri trecento forti votò (ordini di scuderia!) che lui davvero credeva che Ruby fosse la nipote di Mubarak. L’ha cambiata lui o stava già cambiando da sé, l’Italia craxiana che oggi scivola più destra? Imprescindibile, inevitabile destino con quel ricco proprietario di partito che ha comprato quel che ha voluto e chi ha voluto, amico di Putin e precursore di Trump ricco di soldi e figa di figa perché ricco di soldi mito della mezza Italia bella che ragiona con le stesse due categorie ma non ha né questi né quella. E ce ne vogliono di soldi per indurre la trentenne di turno a entrare nel letto, penultima la Pascale (“non credevo di averle trasmesso tanto amore per la figa”, fenomenale) e ora la “non moglie” di cinquant’anni più giovane: ma te la vedi la Fàscina che fa l’amore con lui? Cos’è che l’affascina? Un certo grado di schifo bisogna pure provarlo. Lo sostiene il corteo di golpisti che assalì il palazzo di giustizia di Milano stipendiati che poco dovevano a sé stesso e tutto a lui cialtroni e servi, più o meno fedeli, con la gallina padovana e tutte le altre amazzoni che ringraziavano per la carriera (vi ricordate Brunetta che istruiva le veline per essere elette alle Europèe?) mentre semplici trastulli erano le olgettine derubricate a orgettine. Ultimamente erano le badanti, maschi e femmine, che lo hanno persino votato presidente della Repubblica. Quante e quanti gli devono riconoscenza! Tartaglia, che gli spaccò la bocca con la statuetta del duomo, chiese scusa, e fu perdonato, perché in fondo Silvio è buono, è la sua idea di società che appare un’indecenza. E oggi lo sostengono i giornaletti che registrano la lettera del deficiente sedicenne che non ha visto “la discesa in campo” né lo ha mai visto governare e tuttavia lo ha elevato a mito (ripete quello che in famiglia sente). E ci saranno tra trenta o quarant’anni altri bocchie deficienti che lo ameranno senza sapere i danni che ha provocato, così come ogni anno è nutrita la pattuglia di èbeti che il 29 luglio vanno a piangere a Predappio. Putin (e le persone “perbene” che il dittatore russo voleva mettere al governo invadendo l’Ucraina ed eliminando il delinquente di Zelensky; ma dico: si può essere così coglioni?) la flat tax il ponte sullo Stretto i soldi al mondo del calcio il Milan: tutte grandi idee che cammineranno sulle gambe del suo erede politico, il Mona che vive di felpe e selfie, che nemmeno fu capace di prendere una laurea di terza categoria; Silvio, almeno, la laurea in giurisprudenza, quella di tanti Teste di cazzo, se l’era presa e l’aveva fatta fruttare, e con sua parlantina, dicevano altre barzellette, sempre amare, l’aveva messa... anche a Dio. Sì, proprio int’el dadrìo. |
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