febbraio o marzo 1993, un martedì

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FINCHÉ

Finché per paura di perderti continuerò a imprimermi da me il marchio del deficiente, lo stesso che sulle nostre cose stampo tutte le volte che ti chiedo perdono senza sentirmi colpevole o cretino veramente... Finché alle tue sommessamente posporrò implodendo le mie ragioni, pensando più utile averti che averti sinceramente.... E finché il bisogno di te mi renderà sopportabile quest'insanabile dissociazione che m'intacca a fondo il cuore... fino a quel momento mi avrai. Ma quando, per celia o incomprensione (io di te), avrò sbagliato un'altra volta e te ne andrai sbattendo la porta sottomano e non sarà più chiaro il confine delle parole da dirti e il perché non dirle, quando il desiderio di sopravvivere mi condannerà per riunirmi a spiegare le mie ragioni certificando la tua distanza allora sarà tutto finito. Per quel tempo mi avrai forse da un pezzo già lasciato, inorridita dalla mia groviera di parole, insopportabile ai tuoi occhi, ma dove seppure qui o lì qualcosa manchi non è detto che sia sbagliata.