3 giugno 2023


648 - versi liberi

Cent’anni di Giovanni

Nato nel giugno del 1923, sotto il segno dei Gemelli, Giovanni è il secondo, dopo Gino; altri due verranno, Livio e Oscar, fratelli; quattro in fila, uno ogni secondo anno. Nella casa che oggi è dei Carrer nascono a Ca’ Malipiero, lungo la strada della Fossetta prima allora in procinto di assurgere a fatale “Triestina”. Alla scuola elementare Giovanni studia fino alla terza classe: ha bei voti, è dotato; avrebbe continuato, ma quarta e quinta, in piazza a Croce, sono troppo lontane. Solo nel ’33 la famiglia si trasferisce in una baracca nei terreni di Longato, alla curva della strada, lì dove scorre il Gorgazzo, pieno di rane. Il lavoro attende il ragazzo, che per due anni va col padre a Jesolo, a lavorare “alla marina”; poi, chiamati dai parenti di Torino, con lui parte, diciassettenne, per la Snia Viscosa, a Venaria Reale. Non è poca cosa. Nel 1942 la visita militare; si ritrova in guerra. Dopo l’8 settembre, da Monte Rotondo tra i disordini e il caos attraversa a piedi l’Italia; evita la Germania presentandosi alla Todt, a far camminamenti, movendo terra. Giocando a tombola la vigilia di Natale del ’43 a una festa dai Bertocco conosce Caterina, per tutti “Maria”, la più giovane dei Barbieri: era l’altro ieri; ma il matrimonio deve cedere il passo a cose più dolenti, più serie: finita la guerra, l’Italia è in macerie, lui lavora con Gigio, cognato muratore, poi s’impiega presso una ditta di Venezia, che s’occupa di restauri da milioni di ore. E Giovanni impara le glorie fragili della Dominante, cantiere dopo cantiere, conosce un sacco di gente. Il 22 settembre del 1951 finalmente sposa Maria, nel ’53 nasce Nadia, Loredana nel ’58, i suoi tesori, la sua allegria. E costruisce una casa con due alloggi, uno per sé e uno per Gino, ancora a Torino. Siamo all’oggi. Crescono brave le figlie, attente e studiose, lui le ricompensa or con un regalo per la promozione ora col dolce di San Martino, pensieri da papà buono, piccole cose… Ma Giovanni buono è con tutti: per dare una mano se uno ha bisogno… la mano è pronta; quanto al resto non s’adonta: poiché saggio è il quieto vivere, quando si può trovar da dire, meglio lasciar perdere; a chi gli fa un torto replica… dimenticando. L’alluvione del novembre 1966 unisce in una sorte il paese e la città d’oro. tanto è il lavoro cui tocca mettere mano, ma Venezia val bene una vita: per 42 anni è alle dipendenze della ditta, un’esperienza infinita, con responsabilità sempre maggiori, la contabilità di lavori via via più rilevanti: il grande palazzo delle Generali testimonia le sue fatiche importanti. Come un principe in carrozza tra ali di folla, con la carriola in Piazza San Marco, mattoni e sacchi di cemento le sue perle, richiama l’attenzione delle turiste distratte: «Signora, si sposti! Ceda il passo!» Si esprime anche in tedesco o in inglese, un paio di parole straniere è meglio saperle. A suo agio in mezzo ai veneziani lì è la sua passione, il lavoro delle sue mani. Un Dio è chi costruisce e ripara, lui gira per la città come un signore; vanno un giorno le figlie a fargli visita: lo trovano vestito... da muratore, sì, con le scarpe allacciate col fil di ferro, assente il bottone dei pantaloni, tenuti a gara da una corda annodata in vita. «Dove vatu, vestìo cussì?» chiede Nadia, preoccupata, forse infastidita. «Così come?» «Male.» Per lui è un abbigliamento professionale. Stimato dai titolari e da tanti che continuano a cercarlo anche dopo la pensione, fino a settant’anni sale e scende i ponti di Venezia, per accontentare clienti che apprezzano i suoi talenti. Nelle ore di riposo, la sera, da Barzan, il mazzo tra le dita, gioca a carte, intere mani ricordate a mente, un occhio al compagno, due agli avversari, e poi per lungo tempo al Circolo Pensionati vince a scarabocchio calmo paziente, grande narratore per grandi conversari. Lasciati gli attrezzi del muratore, si diletta a costruire seggiolini intagliati da regalare ai neonati. Dopo che la sua Maria si ammala prende su di sé le tante incombenze di casa che prima le aveva rispettosamente lasciato; ma di farle l’iniezione di insulina, questo no, non ci ha mai pensato; ma poiché così costringe le figlie a deviare quattro volte di là, si convince che può ben imparare come si fa e a 80 anni per la prima volta stringe la siringa: per tanti anni sarà lui, con maestria, l’infermiere della sua cara Maria. Oggi lui la pensa e non la cita, pudico, ogni giorno i suoi passi conta attorno a casa, dall’olmo al fico, per mantenersi in forma; affronta le parole crociate, le parole nascoste nei crucipuzzle, individua la chiave indecifrabile. La sua storia è un’ode ai giorni passati alla quotidianità che brilla delle cose semplici e reali, gli attestati dell’uomo libero, indomabile. Circondato dall’amore delle figlie, delle loro famiglie il tempo gli sia dolce come melodia piena di colore e la vita gli sorrida ancora, eterna e tranquilla.