Edizioni del Cubo


Storia di Croce - volume II
Don Natale
El paroco de Crose



Questa ricerca è cominciata tardi, troppo tardi. Purtroppo prima ero a cena da amici. Carlo Dariol Dalla Prefazione: "... una raccolta di lettere e documenti, una sequenza di delibere e di testimonianze, un romanzo. E tuttavia nulla di tutto questo. Uno zibaldone storico di genere unico"




Prefazione

Parte VII: la morte e il funerale (10-12 marzo 1955)

Parte I: dall’arrivo a Croce al profugato durante la Grande Guerra (1919)
L’arrivo a Croce
La I Guerra Mondiale
Il fronte in casa. Profugo a San Lazzaro Parmense.

Parte II: dalla fine delle Grande Guerra al Decreto di smembramento delle Case Bianche (1924)
La ricostruzione
La condotta medica
Il cimitero militare
La chiesa dov’era e com’era
Il decreto di smembramento: le Casebianche diventano Musile

Parte III: dallo smembramento alla rettifica (1933)
L’inaugurazione dei monumenti
La costruzione delle scuole
La rettifica dei confini del 1933

Parte IV: dalla rettifica al dimezzamento della parrocchia (1940)
La costruzione della Chiesa delle Millepertiche
Cuppini Podestà
Millepertiche parrocchia

Parte V: gli anni della guerra (1940-1945)
La guerra
Furti in parrocchia
L’occupazione dei Tedeschi e la Liberazione

Parte VI: l’ultimo decennio (1945-1955)
L’arrivo di don Ferruccio
L’asilo
Addio, prà delle oche
Gli anni della vecchiaia
Nuovo mondo
Col carrettino
L’ultimo matrimonio

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Prefazione

Non so quando ebbi compiutamente l’idea di scrivere una storia di “Don Natale Simionato / 1866-1955 / per 58 anni parroco di Croce”, come recita la lapide in cimitero; di lui nulla sapevo se non gli aneddoti popolari, ai limiti del miracoloso, che mi riferiva Adriano. Credo che Adriano sognasse di veder raccolte in un libro tutte le dicerie che si tramandavano a riguardo.

Poi sul sito web di Giovanni Cancellier (un sito che assomiglia alla bottega di un rigattiere, dove si scova di tutto, da un cavallo a dondolo a una spada di Orlando) trovai altre notizie su don Natale e una riproduzione grafica del carretto a motore col quale il paroco si faceva portare in giro gli ultimi anni della sua vita, quando non riusciva più a camminare: si trattava d’una bicicletta a motore con un grande vano di carico sul davanti che poggiava su di un asse a due ruote; due gradini ribaltabili consentivano al più che appesantito don Natale di accedere alla piattaforma al centro della quale era stata fissata una grande sedia. Il disegno frantumò l’immagine fino a quel momento immagazzinata nel mio cervello – un mio fraintendimento dei vari racconti di Adriano – di un don Natale vecchio, incosciente e incontinente, che veniva trasportato come un sacco inerte su di un carrettino a stanga attaccato a una bicicletta; e la sostituì con quella di un adiposo cardinale d’altri tempi che si faceva portare in giro pel paese, quasi in trono, a benedire i parrocchiani. Il personaggio m’incuriosì definitivamente. Cominciai a intervistare i vecchi del paese, e vennero altri ricordi, che avrei… – ecco, lì venne l’idea – riversato in un libro, più o meno com’era accaduto con “Cara maestra…”, l’omaggio a Lisa Davanzo realizzato per la commemorazione del 2007. Sarebbe stato anche questa volta un libro-ricordo? Certamente. Ma anche una raccolta di testimonianze. E perché non una spiegazione dell’antica acredine tra gli abitanti della frazione di Croce e quelli del capoluogo di Musile? C’erano i documenti a mostrarlo. Con quale autorità avrei fatto tutto questo? Nessuna.

Ovviamente la maggior parte delle carte utili per il mio lavoro era nell’archivio parrocchiale e non potevo accedervi senza il consenso di don Primo. Quando dissi al parroco che volevo scrivere una storia sul suo pre-predecessore, la sua espressione mi sembrò di delusione “perché da anni lui stava scrivendo la storia di Croce; e ora uno”, uno che non era nemmeno professore di lettere, “gli rubava l’idea”. Gli spiegai che intendevo raccontare solo un piccolo periodo della storia di Croce, quella riguardante don Natale. Allora mi aiutò. Lui, di don Natale, s’era fatto l’idea come d’una persona fin troppo caparbia, che aveva addirittura osato mettersi contro la Curia; e mi fece vedere alcune lettere di protesta che il paroco aveva spedito al vescovo. Ovviamente la lettura delle stesse mi confermò nell’opinione che m’ero fatto io: don Natale doveva essere quantomeno un personaggio curioso. Feci avere a don Primo le prime pagine del mio lavoro e lui sbattezzò il mio lavoro dicendo che “si vede[va] che scriv[evo] da matematico”.
Magari fosse vero: io sono solo un professore di matematica; scrivo come scrivo perché i miei studi hanno influenzato il mio modo di scrivere, ma è nella mia natura e storia concedere poco spazio a similitudini e metafore. Ma miravo alto; e confesso che mi arrovellai già un poco sull’incipit, certamente importante in un libro che non sapevo nemmeno cosa sarebbe stato. Mi tornavano alla mente tutti gli incipit famosi della mia giovinezza che fra me e me mi divertivo a parodiare:

  • In principio le Casebianche erano il nerbo della parrocchia, e il nerbo era pressoché mio, anzi il nerbo era mio...
  • Cedere o non cedere, questo è il dilemma: se sia più nobile sottostare ai ricatti di un provicario oltraggioso o levarmi a combattere contro le sue mene e risolutamente smascherarle...
  • Il sacrificio delle Casebianche è consumato; non tutto è perduto, ma la vita che ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere la loro perdita e la nostra infamia...
  • Quel tratto di Piave che volge un poco a est di mezzogiorno, tutto a seni e a golfi prima di diventare un’acqua dritta verso il mare, tra due distese ininterrotte di campi...
  • Chiamatemi don Natale. Molti anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca...
  • Io nacqui sloveno ai 24 dicembre del 1866, vigilia di Natale; e morrò per la grazia di Dio italiano quando lo vorrà quella Provvidenza che governa misteriosamente il mondo.
  • Un tempo i Montagneri erano stati numerosi a Croce...
  • Per molto tempo mi sono coricato presto la sera.
  • C’era una volta... «Un re!» diranno i miei piccoli lettori. No, cari ragazzi, avete sbagliato. C’era un volta un... paroco. Coriaceo. Quasi fatto di legno.
  • Molti anni dopo, di fronte al decreto di smembramento, il vecchio paroco si sarebbe ricordato del remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva mandato in seminario con gli zoccoli sul ghiaccio.
  • Se mi dicono “slavo” per me va benissimo, pensò don Natale.

Ognuno andava bene e avrei potuto continuare per ore a cercare in tal modo l’incipit del mio... (romanzo?); ma su tutti sentivo sempre più prevalere e risuonare distinta la voce che i vecchi mi aveva restituito del paroco con la sua apostrofe privilegiata nei confronti degli sciocchi: «Àseno... àseno!» Àseno sì, perché non sapevo per quale strada impervia mi fossi incamminato. Per raccontare la storia degli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento potevo contare ancora sui riscontri orali, oltre che documentali; per quella degli anni Trenta avrei dovuto ricorrere ai documenti parrocchiali, alle delibere comunali e a testimonianze di seconda mano; per quella d’inizio secolo XX avrei potuto affidarmi solo ai documenti parrocchiali, essendo andato distrutto l’archivio del Comune con la I Guerra Mondiale. Ma perché non visitare anche gli archivi del Consorzio di Bonifica (me ne vennero ostacoli ridicoli da più parti)? E perché non quello della Vita del popolo o del Gazzettino? La ricerca si stava dilatando oltremisura e avrebbe potuto dilatarsi per il decennio a venire se la scadenza del cinquecentenario della Parrocchia (e le pressioni di Adriano) non ne avessero fissato un inderogabile termine: il 2009.
Che non fu rispettato. Ma un impegno morale è un debito. Verso me stesso. Ecco dunque il libro. Provvisorio, come gli altri cinquanta immagazzinati nella memoria del mio computer. Non so bene che cosa ho scritto, se una raccolta di lettere e di documenti o una sequenza di testimonianze e delibere comunali, o addirittura un romanzo. Credo sia uno zibaldone storico di genere unico.


Ringraziamenti

Se sono riuscito a scrivere questo libro lo devo, ripeto, alle sollecitazioni di Adriano Donadel, che ha premuto perché giungessi alla conclusione in tempi accettabili.
Nulla poi sarei riuscito a fare senza l’aiuto di don Primo che mi ha messo a disposizione alcuni documenti dell’archivio parrocchiale; così come devo ringraziare l’Amministrazione Comunale, nelle persone dell’ex assessore alla cultura Luciano Carpenedo e del responsabile della biblioteca Domenico Fantuz, i quali mi hanno aperto gli archivi, meritevoli in verità di una sistemazione più consona.
Devo ringraziare anche Ludovico Bincoletto e Loris Smaniotto dell’associazione “C’era una volta Musile” per la collaborazione che mi hanno offerto.
Poi voglio ringraziare, uno per uno, tutti coloro che pazientemente mi hanno concesso, alcuni più volte, il loro tempo per le interviste, i cui ricordi e racconti hanno dato un’anima a questo libro, se ce l’ha, e che voglio qui ricordare, in ordine alfabetico: Ugo Barbieri, Mario Barzan, Bruno Beraldo, Ferdinando Bortoletto, Emilio Calderan, Giovanni Cancellier, Marcellina Carrer Mariuzzo, Sergio “Toni” Dariol, Cesare Davanzo, Guido De Nobili, Vittorio Di Legui e la moglie, don Armando Durighetto, Marcello Fornasier, Roberto Finotto, Alma Granzotto, Letizia Granzotto, Franca Guseo, Maria Teresa Lorenzon, Giuseppe Bepi Montagner, Giovanni Moro, Bepi Mutton, Flaviana Paludetto Colonnello, Gigio Paludetto, Maria Pavan, Giovanni “el cit” Perissinotto, Gigi Quintavalle, Dirce Sforzin, Aldo Sgnaolin e la moglie, Bepi Sgnaolin e la moglie, l’ultracentenario Carlo “Toni” Sgnaolin, Diana Teso, Ugo Vianello, Antonio Toni Zanin. Alcuni nel frattempo hanno lasciato questa valle di lacrime per un destino, speriamo, migliore. Ho riunito le loro testimonianze nella pagina testimoni del 900
Voglio ringraziare la Blandina Zanchettin Dariol che più di qualche volta mi ha organizzato gli incontri con le persone sunnominate, e Valentino Dariol, le cui critiche puntuali (nel senso di quotidiane, per quarant’anni) mi hanno pungolato a migliorare il mio lavoro, e che una mattina di agosto del 2010 se ne andò in silenzio, senza poter vedere il risultato delle mie fatiche.
Ultima, ma non ultima, devo ringraziare Giulia... ma non sto qui a spiegarne le ragioni.

Carlo Dariol