17 settembre 2006


Primo Levi

Là dove scorre con frastuon la pece vedrai con la faccia rossa l’autore di «Se questo è un uomo» che tanto fece... Volò nella tromba dell’ascensore, quarant’anni dopo essere tornato dal lager, senz’aver tolto dal cuore il duro incancellabile peccato di essere sopravvissuto all’inferno - con quei che stan da l’un e l’altro lato - attrezzando il cuore per l’inverno dell’umanità col terribile costo sì di mantenersi appena all’esterno della giostra di morte che fece arrosto sei milioni di ebrei, ingoiati nel nulla, ma per non trovar più posto tra gli umani allorché dimenticati i pensieri in faccia ai pervertiti dei nazisti senza connotati, l’esistenza contesero ai più miti del tutto inattrezzati in quel frangente e dall’assurdità così avviliti che non sepper provvedersi di niente. Sopravviver perché l’atto d’accusa dentro rimbombasse incessantemente nella testa svuotata ed ottusa ed il rimprovero fosse l’agone continuo per cui non esiste scusa è la lor terribile dannazione e pena maggior per chi senza posa accettò la più volgare umiliazione d’esser ridotto a nulla, ä cosa: dal lager sol si salvò chi più a lungo scordò la condizione spaventosa d’esser ridotto a cane, erba o fungo senza libertà attaccato alla vita ma strisciando come verme bislungo, ogni umanità divelta e sparita. Non chi restò uomo fu risparmiato a trattener somiglianza svanita d’umano; che chi si vide privato di sé e non poté accettar violenza mise le mani sul filo spinato o attorno al collo di un kapò, senza speranza di cavarne alcun rimedio ma riproclamando la propria essenza, cavandosi finalmente dal tedio dell’insulto rendendolo inane... ma chi cento volte sfuggì all’assedio della fatica non dividendo il pane con nessuno o la vitale scoperta d’una goccia d’acqua pulita in tane luride e violente o la coperta in più che dal freddo più brutto fece sopravviver a morte certa... Puoi decidere che per espiare tutto come l’increduto nell’orto degli Ulivi pregando dalla sofferenza distrutto ricorderai le atrocità... e scrivi perché l’istinto alla vita fu sì forte che si accettò di non esser vivi per non conoscer da liberi la morte e s’accettò d’esser vermi per sfuggire lei che d’ultravita apre le porte... Ma il timor che mai non basterà il dire non è che un inesorabile, tremendo incalzante, stretto, lungo morire.