22 aprile 2025

677-678-679 - ss. 487-488-489

Lo sgolzo Viganò

sonetto 1

Nel nome santo e sotto il ciel romano, monsignor Viganò scaglia il suo dardo, con penna acuta e spirito bastardo, contro Francesco, il mite pellegrino. Non pace semina, né oro fino, ma strali amari d'un pensier codardo, ché sol l'odio, perduto ogni riguardo, lo spinge contro il dolce argentino. Ma il Papa va, tra popoli e confini, con occhi bassi e mani verso il cielo, non distratto dai dogmi dei caprini. E Dio sorride, alto sopra il velo, ché sa che il cuore, non i penzierini, fa vera Chiesa, ancorché in sfacelo.

sonetto 2

Dal cupo scranno scrive Viganò, con fiamme inchiostro e zelo da crociata, dipinge Roma come profanata e il dolce papa come un gran giullò. Paladino d'un rigido "però", sospira i tempi d'una Chiesa armata, dove il dogma val più della beata misericordia che'l papa approvò. Ma il popol di Dio non teme il tuono: cammina, inciampa, ride, e poi perdona, e sogna pace più che un vecchio trono. Lo sgolzo monsignor dalla poltrona sbatte la porta, ma di là dal suono con la sua resta psiche battona.

sonetto 3

Lancia tuoni e latrati, Viganò, veste pura e finto zelo antico, ma sotto il velo del parlar nemico sta il fratel truffato, al qual rubò. Il gran teologo del "Non si fa però!" grida al peccato, con fare impudico, ché nel suo Vangelo manca il bel plico del Fratelli tutti, ma No, lui no. Sputa su Roma, su chi lava i piedi, su chi perdona e fa del mondo casa, mentre lui sbraita coi dementi eredi (Cionci, Fusaro e la Minutella abrasa): ché la destra è più stupida, lo vedi, e il fumo non fa l'anima persuasa.