15 giugno 2011
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La leggenda di re Enzo
Non so se per un obbligo morale
o perché i colleghi da me si aspettano
qualcosa d’allegro per questa festa
ma con la mia penna nota e finale
dirò due o tre cose di Bassetto
per salutarlo bene, ed esprimergli
con queste leggere, già usate rime
la nostra riconoscenza e l’affetto.
Premetto che non sarà un panegirico
né saprò descrivere anni a me bui,
sol quel che negli anni tra me e lui
intercorse traccerò in due giri
ché non son uso vantare in discorso
lunghe conoscenze: NON lo conosco
da quando al liceo… direbbe il tosco
Aretin. Era il professor del corso
parallelo al mio. (Enzo!) Sembrava
pignolo, quando ambiva dimostrare
cose facili ad intuire, a me che care
eran le intuizioni, non la bava
delle dimostrazioni e dei passaggi
rendicontati, e più le omissioni
che non il confronto tra le frazioni
evidenti. E a propose di passaggi,
non vi dirò che giocai nella squadra
della scuola, lui selezionatore,
più pe’l voler di qualche senatore
(lo sto dicendo) che perché gli quadra.
All’esame, al mio pronosticato
sessanta dai miei compagni fedeli,
risponde con lento gesto tra veli
che ci voleva un profilo adeguato,
quasi a voler dire che quel profilo
io cialtrone, vanesio e presuntuoso,
calciatore confuso più ch’estroso,
non avevo se non un tanto al chilo.
Del seggio elettorale presidente
di fianco a quello dove scrutavo,
si dilettava a disquisir del favo
di modi per riconoscer l’intento.
Ma fu lui che mi assegnò la cattedra
del corso B in verticale,
“cattedra ben fatta”, fenomenale,
sol matematica e niente pignatte.
Pur confesso che gli addossai per giorni,
baloccando, la colpa dello scorno
che mi toccò, dopo il suo ritorno,
quando insegnai matematica… ai torni.
Ma qui convien che si parli del preside
che la lunga sua carriera conclude,
che si dipingano le oneste e nude
sue maniere e che senza sottintesi
si dica che Bassetto non vuole fastidi:
da uomo di smusso e di istituzioni
è l’uomo delle grandi mediazioni
che cerca di ricomporre i dissidi.
Del resto la lite e lo scontro aperto
non giovano a nessuna delle parti:
dell’uso suo estremo di quest’arti
gli va indubbiamente segnato merto.
Tra un cambio e l’altro nel corridoio
con l’arma più temuta del discorso
ferma uno per un problema in corso,
l’altro per un suo dilemma scorsoio.
Sempre elegante, la cravatta a posto,
con l’aria pacata che gli si attacca
discreta, t’accoglie sempre in giacca,
bene d’inverno, ma anche d’agosto,
con il collo della camicia troppo
largo per quella sua magrezza
fatt’ascesi, che parte di cabeza
e arriva fino ai piedi senza intoppo,
ché sì, troppo cibo in panza fa male
– questa è l’opinione giusta e corrente –
Bassetto pranza con poco, con niente!
mezzo tramezzin, acqua minerale…
Come i grandi fisici della storia
si diletta soprattutto di tennis
si fossero quelli sfidati a tetris
pur Enzo avrebbe seguito altra gloria.
Galileo lo prende, l’ossessiona,
delle sue ricerche tra l’altre belle
sempre di nuovo a riveder le stelle
è quella che nell’animo gli suona
Nell’intimo è rimasto un insegnante:
quando gli tocca non perde occasione
di fiondarsi a tener la sua lezione
nell’aula della cattedra vacante.
In collegio, coi suoi grafici e i fogli
di calcolo mostra e spiega alle profe
d’inglese (ma con incomprese strofe)
perché nei voti ci sian troppi scogli.
Chiama le colleghe, tutte, «signora…»
e se sïa per estremo rispetto,
che qualcuna però prese a dispetto,
(«…me gàea capìo?») questo s’ignora.
Nei consigli di classe con precise,
anzi prolisse, anzi divagazioni
d’ogni discussione abbassando i toni
spiega… e spiega… alle pupille scise.
Un po’ alla volta, ché tutto si sfasa
invecchiando – forse mi conosceva
meglio – quando, con la sua guida lieve
mi dava un passaggio fin sotto casa,
contezza mia di guadagnata stima,
parlavamo mezz’ore, e anche giunti
da un pezzo ascoltavo gli altri due punti
seppur in treno sarei giunto prima;
ci trovava gusto a parlar con me,
io ad ascoltarlo: racconta e scava
con sobrietà e pacatezza, dilava
giudizi morbidi al passato che
avevo sfiorato e non conosciuto,
e me ne tornava curiosa un’imago
di lüi che con quella confrontavo
del liceal che non aveva avuto.
Or smetto, ché il dramma di questo metro,
di questo sin facile A-Bi-Bi-A,
è che mi porta di qua e di là
e non mi consente restar indietro.
Ma ben ho ricordato, e volentieri,
quel che Enzo per me ha significato
perché a Bassetto di tutto son grato
con sentimenti più vivi di ieri.
Se nel dire e nel far ho esagerato
questo s’impùti ai limiti del Beria
che scarabocchia, non della materia,
per lo qual i’ spero ser perdonato.
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