ideata il 30 dicembre 2006
composta in gran parte il 4 gennaio 2007

213 - G. 13

Canzone per Giulia

Strofe di sei quinari doppi, rimanti ABABCC, con accenti fissi sulla IV e IX sillaba Quando ti venni la prima volta, accompagnando tra cose tue dentro in taverna, in casa sciolta tra sopra e sotto e divisa in due per stare un’ora ne stetti otto pria di lasciarti nel tuo salotto: nella tua vita della gran voglia d’intrufolarmi quell’era il segno che sino allora sulla tua soglia m’ero tenuto col mio ritegno e ci tenevo molto a quel passo che mi ti avrebbe reso men lasso. Accoccolati nella poltrona credito avemmo dei tanti giorni che la salute già poco buona non ci permise calmi ritorni e dei bèi baci per l’influenza costretto aveva a stare senza Giunta tua madre sono salito subito in piedi come in attenti ma sotto naia è suo marito il militare tra voi parenti Avete passato un bel pomeriggio?» chiese tua madre quel pomeriggio, frase da niente e sotto da ridere prima che poi si metta a parlare, di tua sorella che non si vide da giorni ormai fuori a ballare da giorni ormai e di altre cose con far tranquillo senza le pose poco alla volta nel suo discorso mi coinvolge, mentre puliva e sistemava tutto il trascorso e la sua vita men che giuliva di com’accadde alla famiglia che in fondo a Lecce le si spariglia Dell’uno e l’altro duro trasloco, lei mi racconta di quell’estate della grand’acqua, e poi del fuoco e questa casa ïn cui tornate ch’avreste fatto meglio a cambiare, ancora allora, giunti dal mare E mi sembrava bella e un po’ buffa con quel passato raro e remoto c’ha ricopiato senza baruffa da suo marito all’uso men noto, anzi qui s’usa proprio per niente e mi ritorna ancora in mente Proprio nel mentre rimescolavi la tua frittata di quattro gusti lei preparava per noi due bravi una cenetta nei posti giusti tutt’è preciso di nulla si sbaglia la scelta specie della tovaglia le dispiaceva che fosse macchiata, ed era quella, poi m’hai spiegato, per ogni festa più comandata quella che aveva lei ricamato una tovaglia dai frutti in lista e lei ci ha perso pure la vista con noi seduta, con noi ha cenato, per tre mezz’ore sempre presente c’ha benedetto, riso e parlato, con quel suo fare dolce e paziente poi confessando la gelosia per l’Alessandro che scappa via e poi di Susi quant’è veloce con suo fratello e nella scuola quanto l’ambiente stringe precoce e i giorni ruba e’l tempo vola poi dello studio del pianoforte di quanto l’arti restino morte E verso la fine del nostro pranzo ancora mentre lei ci racconta duemila storie e una d’avanzo come gli piace avervi alla conta mano m’hai preso sotto i suoi occhi al cuor facendo mille rintocchi Ora siam soli, soli davvero pronti di nuovo ai nostri baci quello che accade non sembra vero le nostre labbra tornano braci stringerti forte è dolce sogno tu mi concedi questo bisogno Lasciami immoto qui rimanere sul tuo divano liso dal gatto ancora dammi dell’acqua da bere unico resto del desco sfatto e mentre il labbro di nuovo lecca causano i baci l’ugola secca Tu dici è l’ora, tu dici “Taci!” col tuo sorriso senza malizia ma un poco ancora lascia che baci l’aria sicura, certo propizia con cui mi guarda e m’accarezza il tuo sorriso fatto di brezza Ma bello è questo poco di giorno che mi rimane del tuo calore tu vuoi che pensi dunque al ritorno e già mi sento lieve languore lo so ch’è l’ora l’ora di andare ma un poco ancora lasciati amare…

Nota: i versi I e III della penultima e
I, III, V e VI dell’ultima strofa sono presi
quasi uguali dall’Ora di Barga,
insieme col metro della canzone.