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Carleade |
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CARLEADE (chi era costui?) A venti nessun crede o pone mente alla metà d’esser giunto dei suoi anni, da voler per qual ragione apparente cercar su di sé il segno degli affanni e scriverli, per averli già studiati; né gli vien di cavarsi fuor dei panni suoi e di tutti gli errori e peccati cercar il segno che gli hanno lasciato, se mai li potesse aver evitati; ma rinvia all’età che ha solo il passato le sensibili considerazioni e i rimpianti per ciò che non è stato: quando a lui non altre suggestioni che di morte gli daranno i pensieri, e tossi e malattie e complessioni e patir novi fino all’altro ieri; allor sarà ch’a quel che fu riede, e non altro al vecchio sarà mestieri. Dirai: già, a vent’anni non succede che al col si sente un stringere il capestro e piange perché allontanar no’l vede... Ma per non fare come il mio Maestro che credeva il suo limite a settanta e non calcolò gli umori e l’estro della sorte che’l condannò a sì tanta pena che pellegrin di corte in corte gli cavò fin il gusto dei sessanta, al compito tosto m’appress’io forte di dir di me finché mi stimo, prima che troppe cose vadan storte e mi ritrovï isolato ad imo ove il dir di sé è cretina cosa, che’l cor non è più netto da ogni limo. Dirò di quel c’ho sempre visto rosa e di quel ch’essendo ancor bambino mi compresse l’anima, già corrosa di fastidi, ............... |
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