VENERDÌ 23 OTTOBRE
SCIOPERO GENERALE DELLA SCUOLA
La mattina dello sciopero il professor Parlovario
entrò in classe, con gran disappunto dei suoi studenti che avrebbero voluto
saltare l’ora di lezione. Disappunto fino a un certo punto, perché un poco se l’aspettavano: non era tipo da aderire
agli scioperi il professor Parlovario.
«Comodi, grazie», disse ai ragazzi che l’aspettavano in piedi, silenziosi. I ragazzi obbedirono,
ordinatamente, come al solito.
«Prendete il quadernone e cominciate a scrivere…»
E cominciò a dettare:
«in alto a destra la data, in stampatello venerdì 23 ottobre 2009
a capo Il professor Parlovario, diplomato decentemente in
un liceo pubblico e non costretto a completare le superiori in una scuola
privata (come fece la ministra Gelmini), laureatosi in quattro anni in matematica
all’università di Padova pur essendo studente lavoratore, vincitore di tutti i
concorsi ordinari aperta parentesi
tre chiusa parentesi ai quali ha
partecipato nella sua regione di residenza (e non costretto a emigrare a Reggio
Calabria per affrontare il concorso pubblico come fece la ministra Gelmini), a
capo, pur aderendo alle ragioni dello sciopero odierno è tuttavia oggi
presente a scuola per le seguenti ragioni: a
capo
I. perché ritiene l’arma dello sciopero dei professori completamente
spuntata, non potendo essere impugnata nei periodi di scrutini e di esami
quando realmente procurerebbe disagio e costringerebbe il Governo ad ascoltare
le ragioni dei cittadini; a capo
II. perché egli ritiene sproporzionata la decurtazione dello stipendio
che gli verrebbe praticata, di molto superiore a un ventiseiesimo (essendo
mediamente ventisei le giornate lavorative in un mese) del suo non lauto
stipendio; a capo
III. perché egli non intende lasciare a questo Governo, e in
particolare alla ministra dell’Istruzione, che non ha nessun merito particolare
per occupare la poltrona che occupa se non quello di aver detto che le
scuole le devono pulire i bidelli (e alla quale il professor Parlovario
riconosce autorità giuridica ma non maggior preparazione, né maggior cultura,
né cultura tout court, ma solo maggiore – e involontaria – vis comica, e questo
naturalmente, dato che ella opera sotto l’egìda del suo capo), il
compito di disporre della cifra alla quale egli dovrebbe rinunciare, preferendo
devolverla personalmente alle associazioni che realmente si occupano dei
cittadini».
Quindi fece la sua lezione, nella
quale spiegò, fece sorridere e più volte ridere la scolaresca. Passavano in
fretta le ore col professor Parlovario.
Molte delle battute che egli faceva in classe venivano riportate dagli allievi
alle famiglie, che ridevano a loro volta.
Ma gli allievi riportavano in famiglia non solo le battute.
Nei giorni successivi montò la
maretta. Dopo quanto era avvenuto in classe, i genitori forzitalioti andarono a
protestare dal preside e invocarono un’ispezione in classe nei confronti
dell’insegnante dei loro figli. Avevano avuto un po’ di dubbi se farlo o meno,
sapendo che il professor Parlovario godeva della stima dei colleghi e dei
propri figli e generalmente di tutte le famiglie; ma quello che aveva fatto era
davvero troppo: non avrebbe dovuto lasciarsi andare a certi commenti in classe.
I genitori diedero la notizia in pasto ai giornali, arrivarono i soliti cretini
giornalisti approssimativi, abituati a trascrivere le veline, capitarono gli
ispettori, e Brunetta e la Gelmini vollero essere presenti in aula: avevano
scelto il loro capro espiatorio per la gogna pubblica e per la punizione esemplare:
basta politica in classe da parte di insegnanti comunisti! La ministra volle
aprire i lavori e si lasciò andare a una filippica piena di strafalcioni
lessicali e sintattici, non avendo sottomano il foglietto scritto da Tremonti,
mentre il piccoletto si lasciò andare a una sceneggiata che pareva l’effetto flatulente di una
fagiolata.
«Eh già, hanno appena parlato due
che sono all’altezza…» commentò Parlovario.
Il ministro Brunetta si offese
per ragioni storiche: «Certo che sono all’altezza…»
«E visto che sei all’altezza,
perché non mi fai un p...?»
Fu scandalo e fu deferimento.Tutti inorridirono.
Il professor Parlovario fu
invitato immediatamente a scusarsi, ma la sua posizione s’era già messa al
peggio. Nel discorso di scuse, Parlovario spiegò che la sua risposta era
chiaramente ironica.
«Era chiaramente una battuta,
dato che a me gli uomini non sono mai piaciuti, fisicamente intendo, né
abbronzati né nani, e se Brunetta non ha capito l’ironia vuol dire che è un
cretino! L’ironia sta nel fatto che io mai farei una battuta sul sesso essendo
io virgola a differenza del Presidente virgola impotente virgola…»
Ci fu una lunga pausa.
«Vuol completare la frase?» chiese il presidente della commissione disciplinare, impaziente.
«La frase è finita. L’ironia sta
nel fatto di aver detto “virgola” anziché punto».
Qualcuno
impiegò qualche secondo per sorridere. Brunetta non rideva. E questo dimostrava
che era assai piccolino. La Gelmini era indignata e reggeva sulle ginocchia la grande
borsa in pelle di sua nonna.