POESIE

Carleade

CARLEADE 
(chi era costui?)


A venti nessun crede o pone mente
alla metà d’esser giunto dei suoi anni, 
da voler per qual ragione apparente 

cercar su di sé il segno degli affanni
e scriverli, per averli già studiati;
né gli vien di cavarsi fuor dei panni

suoi e di tutti gli errori e peccati
cercar il segno che gli hanno lasciato,
se mai li potesse aver evitati;  

ma rinvia all’età che ha solo il passato 
le sensibili considerazioni
e i rimpianti per ciò che non è stato:

quando a lui non altre suggestioni
che di morte gli daranno i pensieri,
e tossi e malattie e complessioni

e patir novi fino all’altro ieri;
allor sarà ch’a quel che fu riede,
e non altro al vecchio sarà mestieri.

Dirai: già, a vent’anni non succede
che al col si sente un stringere il capestro
e piange perché allontanar no’l vede...

Ma per non fare come il mio Maestro
che credeva il suo limite a settanta
e non calcolò gli umori e l’estro

della sorte che’l condannò a sì tanta
pena che pellegrin di corte in corte
gli cavò fin il gusto dei sessanta,

al compito tosto m’appress’io forte
di dir di me finché mi stimo,
prima che troppe cose vadan storte

e mi ritrovï isolato ad imo
ove il dir di sé è cretina cosa, 
che’l cor non è più netto da ogni limo.

Dirò di quel c’ho sempre visto rosa
e di quel ch’essendo ancor bambino
mi compresse l’anima, già corrosa 

di fastidi, ...............